CONGRESSO DEL PARTITO DEMOCRATICO. ALLEANZA DEMOCRATICA PONE AL CENTRO DEL DIBATTITO I DIRITTI DEI LAVORATORI E LA COESIONE TERRITORIALE

Il dibattito sulla rifondazione del Partito Democratico è appena agli inizi.
Sarà un dibattito molto articolato di cui non è facile prevedere l’epilogo. L’unica cosa certa è che dovrà emergere un partito completamente rinnovato nei programmi, nella gestione, nella classe dirigente, nella struttura organizzativa, nei rapporti con la società e con gli altri movimenti e partiti politici.
Bene hanno fatto il segretario Enrico Letta e la Direzione a fissare a inizio 2023 il punto di arrivo del congresso costituente.
È vero che, nel frattempo, si terranno elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio, ma il percorso congressuale è troppo importante per poter essere condizionato da impegni contingenti. Sulle regionali possono decidere le direzioni locali, magari passando anche per le primarie. Soluzione che, oltre ad essere la più idonea a massimizzare la coerenza delle scelte con le problematiche specifiche delle singole regioni, ha il vantaggio di evitare che decisioni imposte dal centro siano causa di ulteriori fratture, con ricadute negative sul confronto nazionale.
Peraltro, un approfondimento del dibattito che si protragga nel tempo valorizza le caratteristiche del Partito Democratico, l’unico partito vero ancora sulla scena, in quanto potrebbe coinvolgere fasce di cittadini e ceti sociali che, negli ultimi anni, sono stati critici verso il partito e hanno scelto la strada dell’astensione o del voto di protesta, non condividendone l’indirizzo politico e programmatico.
Già dalle prime battute appare evidente che ci sarà una ampia partecipazione. Sono già intervenuti intellettuali, esponenti della società civile, rappresentanti del mondo sindacale e politici appartenenti all’area progressista, in ampia misura non in sintonia con la linea politica recente.
Sarebbe importante che si trovino modalità idonee a valorizzare la partecipazione di tutti, anche dei singoli cittadini, così come di associazioni, movimenti e gruppi di base che siano in linea con l’indirizzo di centro sinistra cui deve ispirarsi il Partito Democratico.
Un indirizzo che deve tradursi in una visione progressista della società e in proposte politico programmatiche che siano coerenti con tale visione.
Alleanza Democratica vuole portare un contributo di idee e si riserva di organizzare iniziative specifiche sui temi più qualificanti su cui si incentrerà il dibattito.
Al momento, riteniamo di proporre quattro punti che, riteniamo, siano fondamentali per dare al partito una impostazione sintonica con le reali esigenze dei cittadini e con le istanze del popolo di centrosinistra.
Primo punto. Mettere in soffitta in via definitiva la “vocazione maggioritaria”, una dottrina da cui sono derivati solo danni al Centro Sinistra e al Partito Democratico, a partire dalla caduta del secondo governo Prodi che portò allo scioglimento delle Camere e alle successive sconfitte elettorali (o non vittorie) che si sono susseguite ininterrottamente dal 2008 in poi.
Peraltro, la “vocazione maggioritaria”, così come è stata concepita dal Partito Democratico è stata, soltanto, un tentativo, goffo, di imporre la propria egemonia ai partiti alleati, in una impostazione autoreferenziale che, se praticata da un partito del 20 per cento, non può che essere destinata a produrre insuccessi politici e sconfitte elettorali. La Democrazia Cristiana che, per quaranta anni, ha avuto un ruolo di partito cardine del sistema democratico, ha sempre valorizzato il ruolo della coalizione, anche quando,  nel 1948, conquistò la maggioranza assoluta.
Enrico Letta aveva dichiarato il superamento del principio della vocazione maggioritaria. Però, le scelte successive non sono state coerenti con tale impostazione, in quanto rinunciare alla vocazione maggioritaria significa accettare che partiti alleati possano avere posizioni differenti sul piano politico e/o programmatico, purché siano comuni i valori fondamentali e il campo politico di riferimento.
Secondo punto. Un partito progressista non può esistere se non pone al centro del proprio programma e della propria attività politica i diritti sociali, la tutela dei lavoratori, il sostegno all’occupazione, il rapporto preferenziale con i sindacati, temi che sono scomparsi dall’elenco delle priorità del Partito Democratico. Che, invece, negli ultimi anni, si è caratterizzato, in via pressoché esclusiva, come partito dei diritti civili. Le battaglie che si ricordano nella precedente legislatura sono il disegno di legge Zan, la proposta sullo “ius soli”, i tentativi, peraltro molto blandi, di superare i decreti sicurezza di Salvini. Non c’è nulla sul fronte dei diritti sociali, per l’occupazione, per i diritti dei lavoratori, se si eccettua il lodevole impegno del ministro Orlando, non sostenuto, però, né dal partito, né dai gruppi parlamentari.
Peraltro, sul tema il Partito Democratico sconta la inevitabile diffidenza di larga parte dell’elettorato per essere stato il partito di Matteo Renzi, a cui si devono  il Jobs Act e la abolizione dell’art. 18, e che si è dichiarato “invidioso del costo del lavoro in Arabia Saudita”, un modello che, certamente, i lavoratori italiani non guardano con favore.
L’impegno sui diritti civili, sicuramente apprezzabile, è assolutamente insufficiente per sostenere un partito di massa. Ricordiamo che in Italia esiste già un partito dei diritti civili ed è il Partito Radicale che, in tutte le sue diverse articolazioni, non ha mai superato il 3 per cento dei voti, tranne che in una unica particolare elezione al Parlamento europeo.
Terzo punto. Nel contesto dei diritti sociali una particolare attenzione va posta sul tema dell’occupazione. L’occupazione è un diritto di rilevanza costituzionale. La Carta costituzionale dedica al tema gli articoli  1 e 4, oltreché l’intero Titolo III, articoli negletti da troppo tempo. Per chi lo avesse dimenticato l’articolo 4 – che è nella prima parte della Costituzione, quella non modificabile nemmeno con legge costituzionale – dice testualmente “ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo tale diritto.” Sono principi che sarebbero sufficienti a costruire un programma di legislatura. La politica economica dovrebbe avere al centro il diritto al lavoro e la piena occupazione. Tra l’altro, una politica economica incentrata sulla valorizzazione del lavoro è l’unica che potrebbe rilanciare lo sviluppo in forma strutturale al di là della crescita congiunturale dovuta ai fondi del PNRR.
È ora che il Partito Democratico torni ai fondamentali di una politica progressista e imposti un modello di sviluppo che sia coerente con le esigenze del popolo italiano, senza farsi distrarre da egoismi di categorie o di territori che non sono funzionali al bene comune della società italiana e sono agli antipodi di una politica al servizio dei ceti e delle fasce sociali più deboli.
Quarto punto. La Costituzione detta principi inderogabili anche sulla coesione territoriale. L’art. 120 prevede l’intervento del Governo per salvaguardare “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
Anche in questo caso il Partito Democratico è stato in passato assente mentre le forze anticostituzionali che sostengono le aree forti, mettevano a rischio l’unità del Paese, o della Nazione se si preferisce, per piccoli egoismi territoriali e squallidi ragioni di consenso elettorale.
Non vogliamo fare un processo al passato ma dobbiamo dire con forza che il progetto di “Autonomia differenziata”, così come richiesta da alcune regioni del Nord è un attentato all’unità dell’Italia, in quanto accentua e rende irreversibile la politica antimeridionale portata avanti negli ultimi quaranta anni e colpisce ancora una volta i cittadini del Mezzogiorno che sono già una delle aree più degradate dell’intera Unione europea. Un progetto che, se portato avanti nei termini in cui è stato disegnato dalle regioni e dai ministri espressi dalla Lega con la connivenza dell’intero Centro destra dovrà trovare la ferma opposizione del Partito Democratico in Parlamento e nel Paese, come è legittimo e doveroso per un tema che riguarda la tutela dei diritti costituzionali dei cittadini.
Sono temi fondamentali sui quali un grande partito quale è, al di là delle congiunture elettorali, il Partito Democratico non può non dire una parola chiara e sui quali ci attendiamo che il Congresso superi le incertezze e le ambiguità del passato.